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24Feb2014
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RelicsControSuoni Review
Dopo aver conosciuto discograficamente il trio esordiente romano Acid Muffin ed il loro EP Nameless, il dato che più risalta ai nostri occhi è la coerenza intellettuale.Proprio la stessa coerenza che permetto loro, senza troppi giri di parole, di definirsi Grunge. Grunge, senza Alternative, senza Metal, Grunge, così è se vi pare.Ai fan dell’ultima ora del genere di Seattle potrà sembrare piuttosto una caduta di stile o un auto-manifesto stracolmo di superficialità e luoghi comuni.In fondo, dichiararsi influenzati da una delle correnti più rilevanti da vent’anni a questa parte, appare quasi puerilmente azzardato.Eppure se andiamo a ritroso con la memoria, ci accorgiamo come il Grunge abbia prodotto una deflagrazione talmente forte, che come alcuni dei propri protagonisti più eccellenti, ha finito per spegnersi nel giro di una decade.Così come d’altronde lo stuolo di ‘sedotti ed abbandonati’ che artisticamente erano stati rapiti dal sound delle camicie a quadrettoni: si corse immediatamente ad affiancare al termine ‘Grunge’, il prefisso ‘post’, come quando si cerca di allontanare dalla testa un pensiero cattivo perchè troppo difficile da elaborare.Anche gli Acid Muffin probabilmente sono più inscrivibili nell’ultima corrente menzionata.Eppure il coraggio di chiamare con nome e cognome le origini ancestrali del proprio stile musicale, non gli manca.D’altronde, come tutti i fenomeni commerciali (e, ahinoi, il Grunge non fece eccezione da questo punto di vista), possono passare di moda, ma l’apporto artistico riecheggia in miriade di gruppi successivi al presentarsi della corrente.E si può essere originali anche con solide radici.Al primo ascolto gli Acid confermano questa sensazione di estrema solidità, merce rara nonostante non si tratti nemmeno di un full lenght.Volendo riagganciarci alle prime analisi, sono proprio le spinte sperimentali a limitare un lavoro che non appena si allontana dai binari sopracitati, rischia sempre di vacillare.Sia chiaro: parliamo di sensazioni istintive, che innanzitutto non hanno nulla a che vedere con le capacità tecniche effettive dei membri della band.Ascoltando Nameless non si può che rimanere assuefatti da un lavoro competente ed accurato.Il genere proposto è stato studiato talmente bene da costruirsi un’identità a sé stante, magari, ripetiamo, senza particolari spunti originali, ma con una carica potente ed impossibile da disinnescare.La voce e la chitarra di Marco Pasqualucci sono puntuali come i mali stagionali e le sue linee vocali sono una perfetta sintesi dei pregi istrionici del cantante dei Bush, Gavin Rossdale, ospite dell’’Indovina chi?’ a cui deve prestarsi l’ascoltatore prima di concludere che la voce da cui sembra impossessato Latini è proprio quella del cantante inglese.L’ultimo membro aggiunto in ordine di tempo, il bassista Matteo Bassi, non lesina una repertorio ritmico incontestabile, autore della maggior parte degli acuti sperimentali di cui sopra, che si manifestano sotto forma di solos improvvisi e cautamente sorprendenti.Chiudendo l’analisi tecnica, buona l’impressione destata anche dal fondatore Andrea Latini alla batteria, ottimo esecutore di partiture perfettamente in linea con il genere.Si badi bene: grunge & derivati non brillano per perizia strutturale, ma il suono (e per questo bisogna ringraziare un’eccellente autoproduzione) e il risultato su disco, sono di primo piano.Concedendosi il vezzo di trovare una traccia sopra le altre, scegliamo Nothing Inside, track di chiusura di questo ottimo EP.Capiamo alla fine della fiera che, oltre alla coerenza, questi tre ragazzi posseggono uno straordinario dono di sintesi. Abbiamo già decantato le loro capacità di studiare al meglio la scena post Grunge, integrandone pregi e difetti e auto-ghettizzandosi in un recinto carico di aspettative, ma di altrettante responsabilità stilistiche. Eppure se questa band rimarrà sulla scia espressiva di Nothing Inside, qualcosa accadrà. Stop: non vogliamo caricare di hype una band al primo EP, ma a volte gli Acid Muffin sembrano la conferma vivente di una delle leggi più potenti della scena discografica: per avere successo non bisogna ricercare spasmodicamente l’originalità. Un brano come quello sopracitato, non dirà certamente nulla di nuovo, anzi invocherà in continuo il ‘già sentito’, il ‘già assaporato’. Eppure funziona, diamine se funziona. Le linee melodiche cantano di una favola senza lieto fine, di una depressione talmente attuale da ricongiungere due decadi, all’apparenza con poco da spartire.La malinconia è la stessa di una Down in a Hole (Alice in Chains ndr), o di una Creep degli Stone Temple Pilots.Le chitarre sono pesanti come macigni, la voce profonda e sfumata.Tutto è al suo posto, anche gli assoli distorti.Piccolo cenno anche per la terza song, Bones, altra conferma che gli AM rendono particolarmente sui pezzi introspettivi.L’atmosfera qui è meno rarefatta, ma non per questo più serena.La struttura rimane semplice, la chimica complessiva molto valida.Le piccole incertezze alla voce fanno molto scena – Seattle – trapiantata – a – Roma.Non possiamo che promuovere questi Muffin indigesti.Per più motivi: un suono all’altezza di produzioni più importanti; una solidità rara per quanto riguarda un EP; il background studiato nei dettagli in merito al genere d’appartenenza; soluzioni semplici, ma efficaci.Se riusciranno, nonostante tutto, a distanziarsi da una matrice non sempiterna come quella proposta e a trovare una distribuzione imponente, gli Acid Muffin potranno dire la loro nel panorama romano.E non solo.relicscontrosuoni/review